Chi è quel cultore di Roma antica che ricurvo, occhio indagatore, sull'area del campo Marzio, incisa sulla marmorea Forma Urbis Severiana, non sbrighi la fantasia a rimirare, attonito, splenditi templi, fughe di eleganti colonne e fioriti capitelli, e non si soffermi, rapito, dinanzi a immaginari cortei inneggianti di iniziati, i misti, al culto Isiaco nel più maestoso tempio di Roma a questa dedicato?

Molto è stato scritto sull'Iseo Campese da autorevoli studiosi, molto rimane ancora da scoprire, qualora dalle profondità del sottosuolo fiorissero tesori ancora ignoti della stupenda arte edilizia di età imperiale.

Inizialmente questo lavoro di ricerca storica, condotto sulla scorta dei primi contatti con i sopravvissuti documenti archiviali dell’antico monastero, si era limitato all'epoca della gestione Silvestrina di questo antico luogo di culto, a partire dal 1563, quando con bolla del Papa Pio IV chiesa e parrocchia venivano affidate ai monaci Silvestrini, cui necessitava una sede in Roma per il procuratore generale dell'ordine. Credetti se dovesse presto esaurire il mio assunto in poche pagine. Non fu così.

Indagine a ritroso nei secoli era stimolante. Incuriosiva il pensiero di risalire alle remote origini della parrocchia. Ma poi, sospinto da coinvolgenti ricerche di archeologi, perché non spingersi fino al tempo glorioso dell'Iseo Campense, rievocarne lo splendore artistico, abbacinati dal fulgore emanante dalla Aedes Isidi Sacra, sorgente al centro di una deliziosa esedra porticata, su cui si insedierà, dimesso ma fiducioso, il Protomartire Santo Stefano con tempio a lui dedicato?